Montefollonico
Dal medioevo ad oggi....
La terra di Montefollonico è lontana da Siena miglia 23, da Pienza 7, da Trequanda e Asinalunga 6, Monticchiello, Castelmuzio e Montisi 5, da Petroio e Montepulciano 8. E’ situata in un poggio elevato, che domina la campagna adiacente salvo che dalla parte del Convento dei PP. Minori Osservanti poco lontano, et alquanto superiore al di lei sito"(Statuto del 1560). Questo paesino che oggi è una frazione del Comune di Torrita di Siena mostra nelle sue strutture il vero motivo della nascita: essere una rocca fortificata in epoca medioevale. Ma il luogo era stato abitato fino dalla preistoria, così come testimoniano alcuni manufatti rinvenuti in località "Il Tondo": Si tratta di ciottoli silicei di selce grigia, scura e chiara, variegata o tendente al bruno chiaro, lavorati con una tecnica che dà l’impressione di trovarsi davanti a manufatti Musteriani (Quaternario)(B. Inglis). In epoca più recente, alcuni secoli prima di Cristo, qui intorno hanno sicuramente vissuto gli Etruschi come dimostrano ritrovamenti di urne cinerarie e di altri reperti archeologici avvenuti nelle vicinanze del paese in poderi i cui toponimi sono indicativi: Felline, Orsina. Nel secolo scorso, inoltre, durante lo scavo delle fondamenta dell’attuale Palazzo Mucciarelli, furono trovate delle monete romane dell’epoca dei primi imperatori: ciò fa supporre che esistessero, dentro l’attuale perimetro delle mura, una o più ville patrizie. Del periodo delle invasioni barbariche non abbiamo notizie storiche, possiamo solo immaginare che si sia avuta una diminuzione di popolazione e di attività agricole e artigianali, come in ogni altra parte dell’Italia centro- meridionale. Da un documento del 714 (o 714) d.c. abbiamo notizia di una disputa (V. Innocenti) fra i Vescovi di Siena e Arezzo, avvenuta davanti un messo del re longobardo Liutprando, per il possesso della Pieve di San Valentino in Casale Ursina. Si tratta certamente dell’attuale Pieve di San Valentino: forse questa antica Pieve era stata costruita sulle rovine di un pago romano, come indica la preposizione"in". Del toponimo M. non si hanno notizie in epoca medioevale. Si trova invece in un documento del novembre 790 un Casale Feroniano presso Monte Follonica: in una pergamena la Badia di San Salvatore in Monte Amiata vantava il possesso di una vigna in un luogo chiamato "Sullupina" e della locale Chiesa di Sant’ Apollinare. Non vi è dubbio che il "Casale Ursina" sia l’attuale podere Orsina e che il "Casale Feroniano" sia l’attuale fattoria di Frignano, mentre "Sullupina" fa stabilire legami con i poderi "Lupaia" e "Lupaina". Se ciò non viene dichiarato esplicitamente in una sentenza emessa in Torrita il 7 novembre 1037, risulta tuttavia in un documento del 2 maggio 1324, rogato nella Badia Amiatina quando fu nominato cappellano e rettore della Chiesa di Sant’ Apollinare in Monte Follonica il monaco don Andrea e risulta anche nell’archivio Diplomatico di Siena. Un "Casale Fullonica" viene rammentato per la prima volta in una pergamena della stessa Badia Amiatina datata 18 settembre 909. Quasi sicuramente questa indicazione non si riferisce al paese attuale, ma piuttosto ad un nucleo abitato da collocare nei pressi del "Conventaccio" (Abbazia dei Monaci Cassinesi, sec. VIII) e dell’attuale podere Abbadia. L’etimologia della parola "Fullonica" è chiara: i "Fullones" erano coloro che purgavano o tingevano i panni di lana: infatti lì, vicino all’Abbadia, scorre ancora un "fosso" che permetteva agli abitanti del luogo di esercitare tale arte. Quando poi gli abitanti di "Fullonica" dalle pendici del colle, salirono sulla collina, il nome del luogo si trasformò in Monte a Fullonica, Montefollonico. Non sappiamo perché avvenne questo trasferimento: forse sul monte c’era già una fortificazione longobarda (VI sec. D.c.), forse il feudatario locale, di cui non conosciamo il nome, ma che sappiamo essere Conte o Dipendente dai Vicarii Imperiali residenti a San Quirico d’Orcia, offriva alla popolazione una certa sicurezza, in un periodo di profonda crisi economica e sociale. San Valentino e il Convento dei monaci Cassinesi posti su strade romane videro così decretare la loro prosperità e i loro traffici a favore dell’abitato posto sul colle Quando poi, dopo il mille, i servi della gleba si trasformarono, per le mature condizioni sociali e economiche e politiche, in coloni liberi, in affittuari o piccoli proprietari (dopo aver ottenuto l’affrancamento), trovarono giusto riparo tra le mura del castello per difendersi dalle scorrerie molto frequenti in quel periodo. D’altra parte M. era situato dalla natura stessa in una posizione ottimale per difendersi: in alto, al confine dei territori di Siena, Perugia e Firenze, in una linea continuamente sottoposta a pressioni di espansione territoriale, a scorrerie di opposti eserciti e di fuoriusciti. In molti documenti di questo periodo testimoniano l’epoca d’oro di M. Dopo il 1200 si lega di amicizia con la Repubblica Senese a cui resterà fedele. Abbiamo detto "amicizia", non "sudditanza" così come appare da alcuni documenti del 1208 e del 1248. Nel primo di essi si dice infatti "che i Senesi avrebbero fatto fine e pace co’ Montepulcianesi e loro seguaci..che gli uomini di Monte Follonico, di Monticchiello, di Ciliano, di Torrita e altri del Contado senese non avrebbero ricevuto i Montepulcianesi e che, inoltre, avrebbero fatto fine e pace co’ Colligiani, Sangimignanesi". Ciò dimostra che M. era libera di decidere se accettare e no le condizioni di pace o di guerra, né veniva considerata dalla Repubblica di Siena come territorio del suo Contado. Nel documento del 1248 si legge che "i Montefollonichesi si trovano assai angustiati dall’ imposizione che faceva loro pagare Messer Ticcio da Colle, Vicario Imperiale, residente in San Quirico del Contado Senese, per lo che ricorsero supplichevoli alla Repubblica di Siena, acciò si compiacesse interporsi a loro favore, e i loro Governanti, a’ quali era a cuore il sollievo di questi Terrieri, accettarono queste raccomandazioni. M. godeva perciò dell’ amicizia di Siena, ma era soggetta all’Imperatore Federico II di Svevia, perché tutti i Comuni, in teoria, derivano tutti i poteri dall’Imperatore e godevano di una certa autonomia se riconoscevano tributi al Sovrano. Poiché già nel 1228, combattendo Orvieto e Perugia insieme a Montepulciano contro Siena, M. era stato devastato, nel 1249 il Consiglio dei Nove di Siena decise di fortificarlo a proprie spese: "susseguentemente le medesime delibere del 1250 ci dimostrano che per costruire le mura di questa Terra si spendessero lire 250 e che dette mura si estendessero braccia 68". In questo periodo, dunque, M. aveva già una fisionomia; un castello di una certa importanza, la chiesa di S. Bartolomeo (prima fuori poi ricostruita dentro), il Palazzo del Governo, poche case modeste e le mura ricche di torri per mostrare la sua potenza agli assalitori. Nel 1255 non erano state ancora costruite le mura di difesa, come risulta da una delibera nel Consiglio della Repubblica senese; in compenso nel 1255 furono terminate le mura della Chiesa di S. Bartolomeo. L’anno seguente fu eletto podestà di M. un cittadino senese. Erano gli anni delle lotte tra Guelfi e Ghibellini e della battaglia di Montaperti: alcuni Guelfi fuoriusciti, approfittando della sconfitta Manfredi di Svevia, si impadronirono di Montepulciano e volevano impadronirsi anche di M. Ma la Repubblica senese inviò due castellani con 500 masnadieri e tutti i balestrieri stipendiati per difendere il Castello. I Guelfi si ritirarono e gli abitanti del luogo (in numero di 223) si riunirono nella piazza, davanti alla Chiesa di S. Leonardo il 2 ottobre 1266: si impegnarono a difendere Siena con tutte le loro forze e a pagare una multa di 100 lire se non avessero rispettato il patto. Questo patto però durava solo 10 anni. Una volta ancora M. dimostra chiaramente di non essere sottoposto ad alcuno e di poter disporre di sé come meglio voleva. Negli anni seguenti si verificarono molte scorrerie da parte dei ribelli Guelfi che attaccavano i Castelli, distruggevano le campagne e gettavano nella disperazione gli abitanti. La Repubblica senese comandò importanti lavori di fortificazione in molti Castelli, ma soprattutto a M. Cominciarono nel 1274 e terminarono il 5 ottobre 1279: nel 1277 fu costruito il nuovo Cassero. Tre anni più tardi la stessa Repubblica senese dette ordine di radere al suolo le mura, intendendo così punire il Castello sospettato di aver parteggiato per i Ghibellini, guidati da Neri da Sticciano: Le mura furono ricostruite tra incertezze e preoccupazioni. Nel 1290 Rinaldo di Lilio Malavati e Arrigo Accarigi furono inviati come ambasciatori della Repubblica senese e poterono appurare, ancora una volta, la lealtà di M. Nel 1294 le mura si arricchirono di una nuova porta, volta a levante: la porta del Criano o Triano. Costruita con grossissime mura, con antemurali sui lati, con arco di pietra, sopra la quale ancora oggi si legge: In nomine Domini Amen Anno Domini MCCLXXXXIV Bernardino Ristori Operaio Senese. Oltre all’antemurale questa porta aveva due baluardi rotondi a barbacane, uno per parte. Anche le altre porte sono da attribuirsi a questo periodo: a ponente la porta di Follonica, a sud la porta Nuova o del Pianello. La prima ora diroccata, era fabbricata in pietre conce, con grandi mura, antemurale e due baluardi laterali, rotondi: uno è diroccato, l’altro (Torre Moreschi) è oggi abitazione privata. Sopra c’era uno stemma con un albero a destra e un leone rampante a sinistra. La seconda porta, la porta Nuova o del Pianello è costruita da pietre e mattoni con un arco maestoso e un antiporta minore "alto braccia 12, merlato in parte, con 4 feritoie laterali e altre 2 da prospetto e dove era il ponte levatoio adesso vi è la volta di pietra". Verso nord le mura sono in piedi e mostrano vestigia di altri baluardi. Per più di un secolo M. si mantiene fedele alla Repubblica senese e non si hanno notizie interessanti né nei documenti né negli atti pubblici. Ma nell’anno 1397, mentre era in atto una guerra tra Fiorentini e Senesi, 300 cavalieri della Compagnia di Ventura della Rosa al soldo di Firenze giunsero a M. Stavano per impadronirsene poiché Nanni Trombetta e altri 12 compagni si erano fatti comperare ed avevano tradito. Ma un podestà di Chianciano, Agnolo Baldiccioni, riuscì a sventare il complotto; il Trombetta fu arrestato, fatto confessare con torture adeguate e quindi impiccato per la gola. M. torna ancora agli onori della cronaca nel 1432. Si combatteva in quegli anni una guerra che vedeva da un lato i senesi, il Duca Filippo e i Genovesi e dall’altro i Fiorentini ed il Papa. "A un certo punto il Papa visto che non riusciva a sciogliere con le buone, cioè a forza di pressioni, una simile alleanza, decise di ricorrere alla forza delle armi e comandò al suo Capitano Niccolò da Tolentino di dilagare nelle Maremme, possedimento senese, che furono predate e devastate. Inoltre comandò a Niccolò Fortebraccio di passare, al Ponte a Valiano, le Chiane e di attaccare la terra di M. Ma gli abitanti, seppur mal provveduti e peggio equipaggiati e sorpresi dall’improvviso arrivo del nemico, seppero con grande valore ributtarlo alle mura, cosicché Fortebraccio, dopo aver lasciato sul terreno non pochi cadaveri, se ne partì da questi luoghi svergognato a dovere". Fino dai tempi più antichi gli abitanti di Montepulciano sono stati nemici dei Montanini, poiché l’uno parteggiava per Firenze, l’altro era amico di Siena. Ma Siena aveva impedito che Montepulciano potesse mettere le mani su M. almeno fino al 1522. L’Italia era stata sottoposta alle scorrerie di Carlo VIII e dei Francesi; a Siena si combatteva per scacciare il Presidio Spagnolo e si trattavano accordi per recuperare la fortezza; un Commissario fiorentino, movendosi con le truppe da Foiano, occupò improvvisamente Lucignano. I soldati che erano a Montepulciano vollero anch’essi fare una sortita: corsero a M., riuscirono a impadronirsene, lo misero a sacco e fuoco. Tentarono poi di fare lo stesso con Torrita, ma la sorpresa era ormai fallita e trovarono conveniente ritirarsi nei loro confini. Intanto l’esercito imperiale spagnolo comandato da Don Pedro di Toledo e dal figlio Garcia si avvicinò il 13 febbraio 1552 a M. che era difeso da un presidio militare e una compagnia comandata da un certo Conte Sertorio, il quale non cercò ne di patteggiare né DI difendersi, ma aprì le porte agli Imperiali che entrarono nel Castello senza colpo ferire. Fecero prigionieri il capitano della Compagnia, il Commissario della Repubblica Senese Niccolò Milandroni e alcuni uomini di rango e li condussero tutti nella Rocca di Sinalunga. L’esercito imperiale si fortificò dentro M., ma vi rimase poco tempo poiché ritenne superfluo e inutile rimanere a custodire una piccola terra. Prima di partire, però, fu bruciata una buona parte del paese. Niente di nuovo fra le mura del castello fino al novembre 1555 quando il Conte di S. Fiora, Generale in Toscana delle milizie imperiali, uscì da Siena con 6 pezzi d’artiglieria, marciò verso la Val di Chiana, e si impadronì di Sinalunga e M. Ma i Francesi, accorsi da Montalcino, liberarono M. e vi lasciarono un presidio. La Repubblica Senese era vicina al momento della caduta. M. ne seguì la sorte: il Repetti scrive, invece, che i suoi abitanti "si arresero per istrumento Dei il 12 settembre 1554" al Gran Duca Cosimo I Dei Medici. Si conclude così il periodo di aggressioni e di difese, di attività costruttiva e di distruzione, di guerre e di pace. "Sotto l’amministrazione dei Gran Duchi di Toscana fra le vecchie mura si placano il tintinnare delle armi e le grida dei vincitori, gli incitamenti degli assalitori, e i lamenti degli assalti. A M., abituato a trattare con armi e armati, fu lasciata solo la consolazione di ospitare una volta al mese, la rassegna delle truppe di fanteria delle piccole guarnigioni vicine: Fabrica, Palazzo Massaini, Castelmuzio, Montisi e Petroio. Questo uso durò fino la metà del 1700 quando, essendo capitano Lorenzo Barbieri e Alfiere Adriano Stellini (entrambi Montanini), la rassegna fu trasferita a Montepulciano. Alla gente di M. fu lasciata la bandiera da conservare". Per quanto ridotto ad un gruppo numeroso di agricoltori, artigiani e commercianti, M. si governava attraverso propri Statuti che si era dato attraverso l’invocazione di S. Paolo Apostolo nell’anno 1560, custoditi nel Palazzo di Giustizia, poi all’Archivio di Stato di Siena. Nel 1618, il 2 novembre, la terra di M. con tutto il Distretto e giurisdizione fu concessa come feudo, con il titolo di Marchesato, al perugino Francesco Coppoli, su richiesta della Madre Donna Claudia D’Albon, vedova del Capitano Camillo Coppoli. Tale concessione fu notificata con diploma il 9 novembre 1610 dal Gran Duca Cosimo II; fu poi rinnovata nel 1738 a favore di Ranieri Coppoli e abolita, come tutti gli altri feudi granducali, nell’anno 1749. La famiglia Coppoli, pur residendo a Perugia, conservò ancora a lungo il Palazzo Marchionale di M. Tale palazzo, posto lungo la via che da Piazza va’ verso il Triano e che porta il nome di questa famiglia e ora di proprietà della famiglia Bargagli. Finché M. fu feudo dei Coppoli dipendeva per l’amministrazione giudiziaria, dal Capitano di Giustizia di Pienza per il Tribunale penale e dal Podestà di Torrita per quello civile. Nella nuova condizione, invece, il Feudatario del luogo elegge il Commissario che amministra la giustizia criminale, civile e mista ed esercita anche l’ufficio di Cancelliere della Comunità e (si legge negli statuti dell’epoca) "dovrebbe ogn’anno fare il Sindacato, ma non si osserva e solo lo fa al fine del suo Offizio avanti 3 sindaci eletti da Priori…che rappresentano la Comunità di questo luogo, e l’Offizio de’quali è semestrale". Ma ormai siamo alla fine del ‘700, a M. grandi eventi storici, come la Rivoluzione Francese e l’epoca Napoleonica, lasciano poca traccia. Anche se i Francesi non solo passarono, ma probabilmente si fermarono, se si sono trovate tracce di vendita al dettaglio di vino completamente redatte in francese in recanti date dal 1807 al 1810. Fra il 1820 e il 1830 furono realizzati il Tondo, il Boschetto Inglese presso la Porta del Triano con i grandi Lecci che fanno parte del Giardino delle Marselli. Questi lavori si devono all’iniziativa della moglie di Marco Landucci, nobile senese che aveva estese proprietà nei dintorni. Infatti, nel giardino Bargagli si trova un’iscrizione in cui si legge: "Per dare pane al popolo di Montefollonico – gli anni di terribile penuria MDCCCXVI – XVII la sua abitazione a miglior comodo ridusse – le casette che le succedono di fronte ordinatamente disposte – in sito dirupatissimo questo orto innalzò – di questi lavori diede direzione Faustina Pecci Landucci – Consorte dilettissima – Li eseguì Gaetano Porcinari, diligentissimo castaldo – aggiungi ai millesimi nei quali il prezzo del grano a L.48 il sacco – o incredibil cosa – ragguagliava". Per curiosità aggiungiamo che la nobile Faustina era nipote di Papa Pio VII. Nel periodo delle guerre d’Indipendenza, delle gesta garibaldine, M. non fa subito modifiche sostanziali: la vita scorreva legata ai ritmi del lavoro agricolo immutato da secoli. Anche quando il Granducato di Toscana dichiarò la propria annessione al Regno d’Italia, non cambiò molto per gli abitanti di M.; cambiavano moneta ma dovevano pagare più tasse. Agli inizi del ventesimo secolo la popolazione viveva di agricoltura e ruotava intorno alle fattorie agricole che offrivano lavoro a muratori, fabbri, falegnami, barrocciai e manovali. Lentamente, però si stavano infiltrando i progressi tecnologici, mentre si verificò, anche qui, una piccola rivoluzione industriale: nel 1908 prende nuovo sviluppo la Società "Lignite" di M. Si trattava di una miniera che sfruttava filoni di lignite nei poderi di Orbiliano, Casanova e Renello. Della presenza di lignite nel sottosuolo di M. si parla nella storia del Pecci. Si legge infatti: "in un podere della Fraternita detto Casa Nova, vi era una cava di carbon fossile dal volgo chiamata Legno Sasso, presso la quale negli anni 1750 dà pastori, nel tempo d’inverno fu acceso il fuoco, onde s’incendiò e continuò ad ardere 16 mesi. Di questo ve ne sono altre vene…del quale contadini si servono per scaldare forni". Per più di un secolo i giacimenti di lignite non furono sfruttati razionalmente; infatti nel 1884 viene messe in opera la miniera di Renello e nel 1892 quella della Casanova. Ma solo dopo il 1908 prende realmente sviluppo la produzione di lignite, tantoché, si poteva portare "occorrendo la produzione" a 200 t. al giorno. Durante la prima guerra mondiale, l’attività mineraria produsse realmente 200 t. al giorno. Negli anni 1920-30, però la miniera accusa colpi di crisi e niente riesce a mettervi un freno; si riprende la produzione negli anni’40 per alimentare le Fornaci della Val di Chiana. Con l’avvento dell’olio combustibile tali miniere divennero non sfruttabili economicamente e definitivamente chiuse negli anni ’60.
M. rimane oggi luogo di pace e serenità per gli abitanti e punto di rifugio tranquillo per i pochi amici che l’hanno scoperto.
(tratto da "RESTAURI A MONTEFOLLONICO
a cura di Laura Martini" testo di ALMA TERZIANI ANDREUCCI)