Storia
I... Quasi ci si aspetterebbe di vedere spuntare da un momento all'altro Ghino di Tacco, il brigante che in queste lande imperversò nel XIII secolo. Il brigante gentiluomo, noto per le ruberie e la fierezza nacque infatti a Torrita dalla nobile famiglia Cacciaconti Monacheschi Pecorai e si diede ad una vita di rapine, facendo base nella rocca di Radicofani.
A tal punto Torrita di Siena ha conservato intatto il suo aspetto medievale nelle antiche case, nelle caratteristiche arcate, nei vicoli che svelano ad ogni svolta scorci inaspettati.
Un alone di storia e leggenda avvolge il visitatore che si trova a passeggiare per le viuzze silenziose di questo paesino della toscanissima Valdichiana ancora cinto in parte dalle mura del 1100.
Il nome di Torrita compare per la prima volta in un codice amiatino del 1037.
Fedelissimo castello della Repubblica di Siena, fu elevata a feudo dall'Imperatore Ottone IV con diploma del 27 Agosto 1210 ed insieme ai castelli di Ripa, Fratta e Bettolle, venne ceduta alla famiglia Cacciaconti.
Considerata un avamposto di strategica importanza nelle guerre combattute contro Montepulciano e Perugia, nel 1260 il feudo di Torrita partecipò alla battaglia di Montaperti contro i Guelfi fiorentini.
Dell'illustre passato e del ruolo strategico di Torrita, Siena conserva un ricordo imperituro nel cuore di uno dei suoi monumenti più significativi.
Il borgo di Torrita è immortalato nella "Battaglia della Val di Chiana" l'affresco che orna la sala del Mappamondo nel Palazzo Pubblico di Siena, commissionato dai Gonfalonieri della Repubblica a Lippo Vanni per celebrare la vittoria riportata nel 1363.
Torrita seguì le vicende di Siena sotto la dominazione Medicea e dell'occupazione imperiale testimonianza è lo stemma della famiglia fiorentina sistemato sulla torre del palazzo comunale che sostituì lo stemma cittadino del leone rampante con tre spighe di grano.
Il territorio torritese trasse però grande beneficio dalle opere di bonifica della Valdichiana realizzate nel corso del 1700, dall'Architetto Fossombroni su incarico dell'Arciduca Pietro Leopoldo di Lorena.
Nel 1860 con un plebiscito - su 1060 votanti, 1040 si dichiararono favorevoli all'annessione - Torrita entrò a far parte, seguendo le sorti di tutta al Toscana, del Regno d'Italia.
Teatro degli Oscuri
Nel motto " ab umbra lumen " raffigurato simbolicamente da una lanterna chiusa che stava a significare "... che si addiviene chiari ed oscuri e che il vero (luce), con fatica ritrovato, va gelosamente custodito... " si identificò l'Accademia degli Oscuri di Torrita fondata nel 1760 dalle personalità emergenti e dagli intellettuali del piccolo centro, per poter scambiare ed arricchire il proprio orizzonte culturale.
La scelta stessa del motto e la denominazione di Accademia degli Oscuri indicavano gli intenti ambiziosi dei suoi promotori, i quali auspicavano la ricerca del vero attraverso lo studio delle scienze, della poesia e della letteratura e per affermare la loro posizione di letterati e poeti, si diedero, al pari degli Arcadi, dei soprannomi.
La genesi e tutta la storia del Teatro di Torrita è direttamente collegata e relazionata a quella dell'Accademia i cui membri furono promotori, oltre che dello studio e dell'insegnamento di varie discipline del sapere, anche della diffusione della cultura teatrale.
Per dare attuazione al programma educativo, l'Accademia nel 1776 ottenne un salone al piano terreno del Palazzo Pubblico che " ... doveva servir solamente per servizio delle Commedie e delle Lettere e non altrimenti per i giuochi di alcuna sorte ..."
L'Antica Stanza variamente indicata come "sala delle scienze", "saloncino" o "stanza del teatro" costituì il primo ambiente intorno al quale prenderà vita il nuovo Teatro.
Fu proprio dalla proposta dell'Accademia di restaurare l'Antica Stanza al fine di rendere decente la platea e decorare il proscenio, che l'impresa per la realizzazione del nuovo Teatro fu approvata dalla Magistratura della Comunità di Torrita nonché avvallata dal Granduca Leopoldo II a mezzo di un rescritto datato 28 giugno 1823. Il progetto fu affidato all'Ing. Mario Chietti, membro della Soprintendenza alla Conservazione del Catasto e del Corpo d'Ingegneri d'acque e strade.
Venne realizzato un palcoscenico fisso e la sala aveva al centro un palchettone riservato agli Accademici. Nel 1866 il teatro fu interessato da nuovi lavori su progetto dell'Accademico Carlo Mannucci Benincasa ed esecuzione del maestro muratore Angelo Guasparri. Il Teatro nella sua nuova forma a pianta ovata con 23 palchi suddivisi in due ordini, fu inaugurato nell'Ottobre del 1870.
Nel 1904 nuovi interventi di restauro portarono alla realizzazione di nuove decorazioni finemente eseguite dai pittori Sallustio e Oreste Tarugi di Montepulciano.
Negli anni fra le due guerre il Teatro venne adibito a sala per le proiezioni cinematografiche e luogo di incontro e ritrovo della comunità Torritese, ma a seguito della stipula di una Convenzione con l'Opera Nazionale del Dopolavoro, l'Accademia non ebbe più nessuna autonomia sul Teatro, arrivando successivamente a concludere la definitiva cessione di locali al Fascio di Combattimento locale.
Nel 1955 il Teatro degli Oscuri mantenendo la denominazione in onore dell'Accademia che gli aveva dato nascita e lustro, fu acquistato dal Comune di Torrita di Siena e successivamente ad accurati interventi di restauro - l'ultimo dei quali effettuato negli anni 1980 - 1983 - è ritornato ad essere una sala cittadina destinata a spettacoli teatrali e musicali.
Presso l'archivio storico del Comune di Torrita di Siena sono conservati due registri donati dall'Ing. Francesco Guasparri, nei quali sono raccolti i verbali degli incontri degli Accademici degli Oscuri.
I due volumi hanno contribuito ad aprire un interessante percorso di ricerca non solo sulla crescita culturale dell'Accademia, ma anche su aspetti inediti della vita paesana.
Preziosa testimonianza è la lettera con la quale l'Ing. Guasparri consegna i due volumi al Comune
" ... A seguito dell'invito rivoltomi di cercare possibili dati e documenti riguardanti il Teatro, di cui per tanta Sua apprezzata e provvida iniziativa si stà procedendo al restauro, ho trovato fra le vecchie carte lasciata dal mio Babbo l'unito Registro dei Verbali delle adunanze degli Accademici degli Oscuri, già proprietari del Teatro che riflette la vita del sodalizio dal 1823 al 1937. In quest'ultimo anno con procedura abusiva e di imperio il Teatro passò al "Dopolavoro" e mio Babbo, a quel tempo Segretario dell'Accademia non ritenne di consegnare il Registro in argomento, anche ad evitarne il disperdimento.
Penso che nell'occasione sia opportuno che passi al Comune nella fiducia che dallo stesso possa rilevarsi qualche motivo a meglio orientare i lavori di restauro e comunque non vada disperso, costituendo un interessante documento di vita paesana.
Mi creda con viva cordialità Ing. F. Guasparri. "
Ghino di Tacco
Nato alla Fratta di Torrita nella seconda metà del 1200, figlio di Tacco Monacheschi dei Pecorai, Ghino si dà al brigantaggio come tanti atri nobili del tempo, in odio ai senesi che avevano occupato il suo feudo ed in alleanza con i ghibellini ribelli che nel 1288 avevano conquistato Trequanda, Asciano ed una parte della Val Di Chiana.
Le cronache di un tempo lo descrivono come uno spietato masnadiere, capace però di nobili gesta.
Soprannominato il 'Falco della Val D'Orcia' Ghino colleziona una lunga serie di condanne per le continue ruberie della sua banda lungo la Via Francigena, per il seguestro della contessa Margherita di Campiglia, per i tentativi di impossessarsi delle Serre e di Scrofiano. Ma il gesto che più gli dà fama è l'uccisione del giudice Benincasa di Laterina che aveva condannato a morte uno dei suoi fratelli ed uno zio: Ghino lo rintraccia a Roma e nella sala stessa del tribunale, lo decapita, infilza la sua testa sulla lancia e se ne torna nel suo tetro ed imponente castello di Radicofani, dove tiene appeso per mesi il macabro trofeo nel punto più alto della rocca.
Il rapimento dell'abate di Cluny ed il suo rilascio senza riscatto, gli valgono la riconoscenza del Papa Bonifacio VIII che lo riceve a Roma, lo nomina cavaliere giovannita nell'esercito pontificio e diviene suo protettore. Alla morte del Papa, tornato in Val di Chiana, dove il ricordo delle sue imprese e l'odio contro di lui erano rimasti vivi, muore assassinato in un agguato nelle vicinanze di Sinalunga.
Miscuglio di nobiltà e bassezza, di ferocia e di cavalleria, Ghino di Tacco viene celebrto da Dante nel VI canto del Purgatorio (purg. VI 13,14). Boccaccio, pur definendolo 'rubatore di strade' ne resta affascinato tanto da dedicargli nel Decameron la seconda novella della decima giornata.
Metà storia e metà leggenda le imprese di Ghino di Tacco sono state nel corso del tempo soggetto di numerose rappresentazioni sceniche popolari e materiale di studio per gli storici.
Chiesa di Santa Flora e Lucilla
La Chiesa di Santa Flora e Lucilla, insieme al Palazzo Comunale, costituiscono il lato più antico della Piazza entro le mura del Castello di Torrita.
Chiesa romanica ad una sola navata, Santa Flora e Lucilla è l'edificio di maggiore pregio architettonico. Eretta nel XIII secolo, è caratterizzata da una facciata a mattoni, ricca di decorazioni in laterizio e da un portale leggermente strombato. Oltre ad alcuni frammenti di affreschi affiorati durante gli ultimi restauri, la chiesa conserva veri gioielli di arte pittorica della Scuola Fiorentina del 400, di Benvenuto di Giovanni, di Taddeo di Bartolo e di Bartolo di Fredi.
Anticamente questa chiesa era in gran parte affrescata e tracce sono visibili sopra il coro, dove sono state riportate in superficie un'Assunta ed un'Immacolata attribuite alla scuola del Sodoma.
Lunetta di Donatello
Il tempio conserva la lunetta marmorea a bassorilievo "Il sangue del Redentore" attribuita a Donatello (1430). Non si conosce la collocazione originale dell'opera che nel XIX secolo venne spostata dall'esterno della Chiesa della Madonna delle Nevi al vestibolo dell'Ospedale di Maestri. Si ipotizza che il bassorilievo fosse in origine parte di un tabernacolo composito.
Nell'opera "La Pittura Senese nel Rinascimento, 1420 - 1500", raccolta edita dal Monte dei Paschi di Siena nel 1989, si trova una critica di Keith Christiansen che riporta
"... L'ipotesi più probabile è che il Donatello avesse creato un rilievo precisamente di questo tipo durante la sua permanenza a Siena. L'opera viene datata attorno agli anni trenta del Quattrocento, ed è stata associata al tabernacolo di Donatello per San Pietro a Roma.
C'è però il fatto che la sua prima menzione è ottocentesca, quando si trovava sulla facciata della chiesa della Madonna delle Nevi a Torrita, ed è difficile non credere che fosse stata depositata in quell'avamposto di provincia del territorio senese, a seguito delle modifiche al Duomo di Siena effettuate nel 600 e 700.
La datazione dell'opera alla fine degli anni cinquanta del Quattrocento non è inverosimile. Esiste in ogni caso una curiosa somiglianza fra l'inserimento dei due giovani angeli nel bordo della lunetta che incornicia la composizione di Donatello e l'introduzione dei due angeli in adorazione su cumuli rocciosi nella Resurrezione del Vecchietta. "
Analogie con la lunetta si trovano nella "Assunzione della Vergine" nel monumento Brancacci a Napoli e nell'"Ascensione e consegna delle Chiavi" a Londra. Recentementela Lunetta del Sangue del Redentore è stata esposta, insieme alla sua copia, nella mostra dei Falsi d'Autore presso il museo di Santa Maria della Scala in Siena.
Giulio Neri
Nasce a Torrita di Siena il 21 maggio 1909. Fin da ragazzo viene chiamato il Bronza o bronzone per l'altezza e la voce risonante che ha modo di esibire nel coro parrocchiale con i suoi assolo.
Cantando durante un matrimonio viene notato da un esperto presente fra gli invitati che gli procura un'audizione all'Accademia di Santa Cecilia a Roma. Superata l'audizione viene indirizzato dal Maestro Umberto ferraresi per lo studio del canto.
Nel 1935 ottiene i primi successi in alcuni concerti a fianco di nomi famosi come la Caniglia, la Pederzini, Stracciari e Benvenuto Franci. Nel marzo del 1935 debutta al teatro di Castelfiorentino con la Favorita, ottenendo un grande successo. Da li le prime scritture iniziando nel 1936 la serie dei debutti nei teatri importanti: il Barbiere ed Aida al teatro Reale dell'Opera di Roma, la Bohème al Lirico di Milano, La Turandot al San Carlo di Napoli.
Debutti ed Opere di una serie lunghissima. Giulio Neri rappresenterà quasi interamente il suo repertorio del poderoso Wagner, affrontato per la prima volta nel 1938 con L'oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido ed il crepuscolo degli Dei.
Dopo questi spettacoli Giulio Neri viene consacrato come un interprete imprescindibile per il Wagner in italiano, ottenendo lusinghiere recensioni. "Giulio Neri diede alla parte di Unding tutta la voluta selvaggia rudezza e cantò con bella e poderosa voce" (De Nemethy, Grahl, Gobbi, dir. Serafin).
Proseguono i debutti che lo portano anche all'estero , con tournée in Egitto, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia.
Chiude la carriera nel suo teatro per eccellenza, l'Opera di Roma. Canta in Norma il 4 gennaio 1958 con la Callas, nella serata - ormai famosa per l'interruzione dopo il primo atto - alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
Nonostante il male lo avesse aggredito, riceve i favori della critica "Giulio Neri con la sua splendida ed inconfondibile voce di basso , con l'autorità della sua arte, ha saputo scolpire il personaggio con autentico ed ammirevole canto da artista" .
Morirà il 21 aprile del 1958.
Di lui restano registrazioni in disco e per la radio, che però non gli rendono la giusta testimonianza data la possanza e la qualità della voce. Una voce da basso profondo , nera , di grande spessore e potenza da ricordare le canne d'organo che però riusciva a modulare per personaggi più leggeri. Non affidava le sue interpretazioni solo all'opulenza della voce, studiava a fondo il personaggio curando anche l'aspetto visivo con appropriate truccature. Ebbe l'intelligenza di scegliersi un repertorio confacente alla sua vocalità ed alle sue attitudini di attore. Giulio Neri è stato particolarmente grande anche nel fare emergere personaggi che per la brevità della parte sono considerati di secondo piano, mentre con lui sono diventati protagonisti.
Anche nelle sue opere desuete o di autori moderni, i personaggi sono particolarmente studiati, raggiungendo anche delle vere creazioni e riconosciuto come "Potente nell'invocazione drammatica e pieno di dolcezza nella preghiera".